Ci vuole cuore, ci vuole umanità per fare le leggi, ci vuole la
voglia di capire le difficoltà che affrontano quelli a cui stai toccando
la vita. Quando ho iniziato a fare il sindacalista della Fiom,
nell’87, a Melfi, avevo vent’anni. La prima cosa che mi disse un sindacalista
anziano fu: Giovanni, per capire cosa ti sta dicendo un operaio, devi capire
cosa fa, in che condizioni lavora. Non basta una telefonata. E allora
dico a Renzi: prima di togliere i diritti, vada nei luoghi di
lavoro. Berlinguer, a cui lui dice di ispirarsi, lo faceva». Nell’aula
del senato, con il suo bell’accento potentino, Giovanni Barozzino ha fatto
un appello ai colleghi per «una vera resistenza politica per la democrazia».
Parole grosse, ma quando quest’operaio del reparto montaggio della Fiat di
Melfi parla di art.18, parla della storia della sua vita. Licenziato, insieme
ai suoi compagni Lamorte e Pignatelli, con l’accusa di aver intralciato
il passaggio di un carrello durante uno sciopero, e di conseguenza
di aver interrotto il lavoro di tutta la linea di montaggio, poi fu reintegrato
dal giudice. Non era vero niente, era una scusa che la Fiat di Marchionne si
era inventata per cacciare tre operai della Fiom. Oggi è in aspettativa,
e siede al senato negli scranni di Sel. E fa un appello accorato «a
tutti i senatori. Non votate questo scempio. Non basta fare interventi
in aula. Tutto qui ci viene propinato come un passaggio obbligatorio».
Senatore
Barozzino, però in queste ore ne state discutendo in aula.
Stiamo
discutendo di una legge che di fatto non conosciamo. Tre mesi fa per Renzi
l’art.18 era un falso problema. Oggi già parlano di fiducia. Il governo ha
deciso tutto.
Renzi manterrà
il reintegro per i licenziamenti discriminatori e quelli
disciplinari.
Sono solo
mezze misure. L’art.18 è stato tagliato già due anni fa. E sapete
cos’era? Una legge in forza della quale, se viene accertato che il lavoratore
subisce un abuso, può difendersi e essere reintegrato sul posto del
lavoro. Essere reintegrato significa restituire la dignità a un lavoratore
che è stato ingiustamente accusato.
Nel Pd si
giura che il nuovo art.18 consentirebbe a uno come lei di essere reintegrato.
Quando un
datore di lavoro può licenziarti per mille altri motivi, perché dovrebbe mettersi
nelle condizioni di essere accusato di discriminazione? Io mi sforzo di
capire quali siano le tutele crescenti di cui si parla, se poi cancellano le
tutele. Ma si mettano nei panni di un lavoratore: per tre anni sta
a contratto a tempo, e prega sempre che glielo rinnovino.
Poi supera tutti questi ostacoli e prende un contratto a tempo
indeterminato. Ma in qualsiasi momento può essere mandato a casa con
scuse banalissime. Si facciano un esame di coscienza: chi dei parlamentari
accetterebbe per sé il lavoro a cui stanno condannando gli altri?
E poi perché un imprenditore vuole licenziare senza giusta causa? Se
sono tutte persone per bene perché mai dovrebbero aver paura
della legge?
Dice il
governo: togliere l’art.18 ai dipendenti per dare tutele a tutti.
È la
guerra fra poveri: un lavoratore che fa sacrifici immani per 1300 euro al
mese, che accetta di tutto, adesso è anche colpevole perché ci sono
i precari?
Per Renzi
la colpa è dei sindacati.
Le politiche
del lavoro le fanno i governi.
I sindacati
però le hanno accettate.
Se
i sindacati accettano le politiche del governo sono colpevoli, se
non le accettano sono conservatori? No, questa non è una riforma di
sinistra. Ma non lo dice l’operaio della Fiom: basta vedere chi proponeva le
stesse cose dieci anni o quindici anni fa.
L’ex ministro
berlusconiano Maurizio Sacconi dice di non essere soddisfatto.
Sacconi
rappresenta un partito del 4 per cento. E Renzi che ricorda sempre
il suo 40,8 per cento si fa condizionare da una forza del 4?
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